"La guerra porta alla vita una paura innata per la morte e il terrore, e nessuno di noi è in grado di domarla."

"La guerra porta alla vita una paura innata per la morte e il terrore, e nessuno di noi è in grado di domarla."

Base Innevata.

4 Settembre 2023.

Plotone di ricognizione.

Ero l’unita di supporto. Tenevo in braccio quel fucile ghiacciato e alternavo il piede destro al sinistro a ritmo costante rivolgendo continuamente la testa nei paraggi in cerca di movimenti sospetti. Faceva freddo e cadeva la neve, davanti a me appena giunto nel campo di battaglia due grandi cisterne d’acqua, anch’esse totalmente coperte dalla folta pioggia innevata. Il terreno era scivoloso, e il vento si scagliava nella mia pelle sensibile, accuratamente coperta da un travestimento mimetico. Il mio fucile, il mio fidato fucile, aveva una canna ottica che mi permetteva di mirare con estrema precisione qualsiasi cervelletto spuntasse dai più disparati nascondigli anche ad un chilometro di distanza. Ero pronto? Non proprio. Avevo paura? Beh, chi non ne ha?. Sentivo i proiettili demolire l’aria come una freccia scoccata con la forza più brutale. Percepivo il dolore dei corpi lacerati dalla furia umana. Alla fine, mi decisi. Feci un lungo respiro profondo, scavando prepotentemente nei miei polmoni e presi coraggio (in questi casi sempre utile). Abbandonai quella che definivo, o definivamo (Noi del plotone) la zona “Sicura” che poi così sicura non era e mi decisi ad entrare nel vivo della battaglia. Percorro una lunga strada innevata, con il mio agile e silenzioso passo felpato, passando inosservato dalla maggior parte dei combattenti. Non sono stupido, sono un cecchino, e devo fornire del supporto, muovermi per le zone meno trafficate può garantire più efficacia al mio compito, ovviamente.

Terminato il lungo sentiero, mi trovo davanti ad una delle strutture presenti nel perimetro insanguinato. Vedo un’entrata che sembra tranquilla, non adocchiata da sguardi indesiderati. Mi ci fiondo con la dovuta cautela e salgo subito delle scale alla mia destra. Finisco davanti ad una finestra distrutta, con vetri a terra ed un ottima visuale sull’azione dei miei compagni, meglio di così non potevo chiedere.

Sistemo subito la mia attrezzatura a terra: un binocolo all’occorrenza, la mia radio e mi preparo. Mh, neanche a dirlo. Alzo la canna del mio fucile all’altezza del mio viso, pronto a prendere la mira, e dal nulla vengo sommerso da una pioggia di proiettili. Il muro affianco a me si scheggia, colpendo la mia schiena riempita dal sudore. I miei occhi si spalancano dalla paura, naturalmente, ed istintivamente comincio a correre come un dannato. Correvo come una gazzella braccata da un predatore, e mentre quei proiettili vaganti continuavano a cercarmi, io scesi le scale a velocità disumana e mi gettai nel terreno sottostante. Non cessava il rumore dei fucili e mi rialzai con grande furore per salire dall’altro lato della struttura. Entrai dalla parte sinistra in questo caso, e arrivato al primo piano, non potei non notare l’entrata verso il tetto. Li sarei stato al sicuro. Lontano dai predatori e abbastanza vicino alle mie prede. I colpi terminarono la loro corsa. L’uomo mi aveva perso di vista. Adesso dovevo restare un fantasma, proprio come avevo imparato ad essere. Gli oggetti erano persi, addio binocolo e radio, va bene, sarei tornati a prenderli più tardi se ne avessi avuto l’occasione. Giunsi sul tetto. Una coperta di neve bianca, fin troppo bianca per non mimetizzarmi alla perfezione. Mi sdraiai e sopportai il freddo snervante (avevo altro a cui pensare), posai a terra il mio fucile di precisione idoneamente abbinato alla mia mimetica e al terreno. Avevo una perfetta visuale sulla battaglia. Non troppo lontano, vedevo i miei compagni coprirsi dietro dei grande container all’interno di una struttura chiusa e grande (e probabilmente riscaldata) mentre venivano sommersi da una pioggia di fuoco di soppressione delle ondate nemiche. La situazione intorno a me sembrava essersi calmata, era il momento di agire.

Ero uno spettro, cappuccio in testa e grilletto pronto. Avevo una perfetta linea di tiro. Silenziatore sul fucile e occhio sugli obbiettivi.

Vedo il primo, lontano dagli altri, che imbraccia il suo mitragliatore e partecipa al fuoco di gruppo. Mantengo il fiato, conto: 1,2,3 Fuoco! Il colpo non lo percepisco neanche io, da veri maestri (senza vantarmi) e la prima preda cade a terra in un istante. Il mio cuore batte, un mio coetaneo era appena passato all’altro mondo, ma che altro potevo fare?. Restai pochi attimi a contemplare il corpo senza vita di quel guerriero caduto. Gli effetti delle guerre, gli effetti dell'orrore umano, a cui io facevo parte.

Sposto la visuale e vedo il secondo, unito leggermente al gruppo, prendo la mira: 1,2,3 Fuoco! Il proiettile attraversa la linea di tiro in un istante, colpo perfetto e preda abbattuta, nella completa ignoranza dei suoi compagni. I miei ne fanno fuori due, e le prede diventano sempre di meno, e sempre più deboli. Decido di cogliere la palla al balzo; non ne restavano molti e la mia squadra doveva attraversare assolutamente quel confine. Erano bloccati da una tempesta di colpi, che sfioravano le loro vite e tiravano fuori le loro paure. Presi allora una delle mie granate stordenti, sempre utili alla causa e la buttai in mezzo alla mischia. Il suono è assordante e infastidisce anche me. Le povere vulnerabili prede adesso sono in trappola. Miro qualche secondo e fuoco! Fuori uno. Miro ancora per una manciata di secondi e fuoco! Fuori due.

Inermi, tenevano le mani sulle orecchie muovendo in modo disordinato il corpo esausto. Il mio plotone finalmente riesce ad uscire da quella maledetta sorta di bunker e termina il lavoro. La zona è pulita e sotto controllo. Circondarono la zona e chiamarono altre truppe per presidiare il dominio, intorno a loro cadaveri inermi e tinti di rosso che rabbrividivano i miei occhi congelati. Mi alzai, avevo lasciato grandi orme del mio passaggio e guardai intensamente il mio gruppo. Ci fu un’intesa reciproca. Ringraziamento e congratulazioni per il lavoro svolto, dopodiché attendevamo il prossimo elicottero che ci avrebbe condotto alla prossima zona da presidiare.

Sedevo sul tetto lasciando penzolare le gambe infreddolite, la neve ancora scendeva soffice dal cielo. Giravo la medaglietta che portavo sempre al collo, vi erano incise delle lettere “T.S.I.M.D.T.” lettere che portavo sempre nel cuore, per pensare sempre a lei e ciò che mi ha insegnato.

Un rumore tornò a disturbare il mio udito e il mio momento di pace interiore. Un’altra missione mi aspettava. La guerra tira fuori la parte più sensibile di noi, e nonostante fossi quasi riuscito a domarla, ancora ero suscettibile alla paura: la paura del terrore, la paura della morte, la paura della guerra. Essa è un fattore raramente controllabile a nostro piacimento, e mentre venivo scortato al prossimo obbiettivo, mi chiesi quando avrei avuto ancora paura.

Written by: Federico Tocci

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